SULLA SOSPENSIONE DEI CAMPIONATI

Noi pensiamo che lo sport non dovrebbe mai fermarsi. O se è proprio costretto, che debba farlo per il minor tempo possibile, perché è un fondamentale aspetto dell’educazione e della salute delle persone, così come lo è la scuola. Pensiamo che lo Stato e tutte le istituzioni pubbliche abbiano il compito primario di investire risorse per garantire la salute, l’istruzione e l’attività sportiva come parti integranti di una vita dignitosa, e che sia molto grave doversi fermare, con tutti i danni e i disagi che ne derivano, a causa di mancanze che sono figlie di precise scelte politiche fatte negli anni. Per organizzare questi aspetti della vita collettiva in modo efficace, e senza incorrere nel rischio di doversi fermare di fronte agli imprevisti, serve investire soldi pubblici, che vuol dire redistribuire la ricchezza, sia all’interno del mondo dello sport che della società tutta.
Lo scorso sabato la Regione Toscana ha deciso di sospendere per un mese tutti i campionati dilettantistici, decisione peraltro confermata dal governo nazionale il giorno successivo.
È una decisione inevitabile e con cui concordiamo, perché adesso il danno di non aver fatto niente per prevenire è stato fatto. Anzi, se non si fossero mosse in questo senso le autorità, durante questa settimana ci saremmo mossi per chiederla noi stessi. Sappiamo bene quanto possa essere doloroso questo passaggio per le atlete e gli atleti, persone abituate ad allenarsi con passione e serietà e a sfidarsi ogni domenica, e a cui un nuovo stop forzato porta sicuramente un disagio non indifferente. Capiremo adesso almeno come proseguire con gli allenamenti, per limitare i danni causati dalla situazione.
Ma come soci e socie del Centro Storico Lebowski ci stavamo già interrogando in profondità sul senso di proseguire dei campionati dilettantistici a porte chiuse, o con percentuali di capienza che permettevano l’ingresso di 10, 20, massimo 30 persone. Se nel calcio professionistico, che la cosa piaccia o meno, si gioca anche per un pubblico televisivo, con tutto il ritorno economico che questo comporta, nelle serie minori, una volta escluso il pubblico dagli spalti, si fatica davvero a capire perché, e per chi, si dovesse giocare. Specialmente una realtà come la nostra che si basa interamente sul protagonismo attivo della comunità e della tifoseria si domandava il senso di tutto questo, ma il nostro non vuole essere un discorso egoistico: pensiamo che su tutti i campi del dilettantismo la passione trasmessa dal pubblico sia un elemento fondamentale; troviamo assurdo pensare a una partita delle giovanili in cui i genitori non possano nemmeno vedere i figli giocare, ma siano costretti ad aspettarli nel parcheggio.
Ci sono poi gli aspetti più materiali della questione. Proseguire le competizioni in assenza di pubblico comporta che le spese per le società restino di fatto invariate, mentre non ci sarebbero più le entrate del botteghino e quelle accessorie come ad esempio l’incasso dei bar, senza che le istituzioni abbiano previsto nessuna forma sostanziale di aiuto. Il “disastro” economico probabilmente sarebbe ben peggiore proseguendo in questo modo, in assenza di investimenti pubblici a fondo perduto. Ricordiamo che finora l’unica proposta che andasse sul concreto per alleviare la situazione economica delle società dilettantistiche è stata quella di poter accedere in forma facilitata al credito sportivo, ovvero indebitarsi.
E, ultima ma non certo in ordine di importanza, la questione della salute degli atleti e delle atlete, a cui è impossibile riservare un monitoraggio simile a quello dei professionisti (dove comunque i problemi non mancano). Al campo sportivo possiamo anche applicare alla lettera tutti i protocolli, ma le persone che ci transitano non vivono di calcio, hanno una vita quotidiana ognuno diversa. È quasi impensabile che non emergano problemi di contagio nelle rose delle squadre, anzi è già successo. Se non fosse arrivato lo stop della Regione, lo scorso fine settimana solo in Toscana sarebbero state rinviate oltre 50 partite. Questo vuol dire anche, oltre a esporre le persone a un rischio, falsare molto i campionati, rovinarne anche gli sviluppi successivi.
Insomma, fermare temporaneamente i campionati è una decisione terribile, che colpisce al cuore chiunque ami il calcio. Ma vista la situazione dei contagi, non esiste una soluzione alternativa che possa soddisfare tutti. Non si può certo pretendere di tornare a giocare con gli spalti pieni, adesso. Abbiamo un jolly da giocare, perché con una saggia decisione quest’anno sono stati formati gironi più ridotti, per avere meno giornate da disputare ed avere eventualmente tempo per recuperare degli stop forzati. Era già arrivato il momento di giocarselo, questo jolly. Tanto, le prossime sono settimane in cui siamo sicuri che la situazione sarà questa, che non potrà prevedere allentamenti delle misure.
Chiaramente vogliamo che questa stagione venga proseguita e conclusa il più regolarmente possibile. Sappiamo che per fare ciò bisognerà riprendere a giocare già durante l’inverno, e probabilmente ancora a porte chiuse, e siamo pronti a onorare ogni impegno. Ma rispetto al novembre totalmente inutile che ci si profilava davanti, meglio tentare di affrontare un aprile-maggio in cui, forse, ci potremo vivere almeno in parte le emozioni del finale di campionato, oltre a realizzare degli incassi che per le società che giocano a questi livelli sono ossigeno puro.
Se non vorremo più correre il rischio di fermarci, una sola è la via che le istituzioni devono intraprendere: investire in modo strutturale, duraturo e massiccio sul potenziamento della sanità, della scuola sia a livello edilizio che di organico, e delle strutture per lo sport di base. Altrimenti ogni imprevisto continuerà a essere scaricato verso il basso, e i sacrifici dovremo sempre continuare a farli noi.